Ok Glass – what’s next?
“Un computer da indossare, progettato per ridurre le distrazioni, creato per consentire di comunicare e compiere una serie di azioni in modo completamente naturale.”
É trascorso un anno dalla pubblicazione del primo video sul progetto “Google Glass” – gli occhiali in realtà aumentata di Big G – che ne mostrava uno scenario di utilizzo alimentando aspettative e fantasticherie da parte di chi si interrogava e si interroga sugli sbocchi futuri di una tecnologia che pare destinata a rivoluzionare profondamente la human experience.
6 giorni fa, il colosso di Mountain view ha reso pubbliche le specifiche tecniche e messo in vendita la versione Explorer del device, rivolta agli sviluppatori per la realizzazione di apps dedicate, confermando l’intenzione, già annunciata mesi fa, di un rilascio commerciale entro la fine di quest’anno.
Riprendendo le prime impressioni di chi, come Joshua Topolsky di Verge, ha avuto la possibilità di testarli, una delle prime cose che viene da chiedersi alla vista degli “occhiali intelligenti” è: “chi e per quale motivo vorrebbe indossarli in pubblico”?
Come osserva Mark Wilson, prima di diventare una hit, occorre che il device trovi risposte efficaci a 4 tipi di problematiche:
1) Evitare il problema Segway
Se è vero che il flop del Segway è in parte da ricondurre ad una questione di costi, in parte al fatto che la gente si è scoperta essere non così pigra, ma in misura ancora maggiore, ad una sorta di reazione viscerale negativa al “core” del prodotto, allo stesso modo, per evitare che gli smart glass vadano incontro alla stessa sorte, giocherà un ruolo decisivo il design del prodotto. Eleganza ed invisibilità potrebbero in tal senso configurare un approccio efficace. In questa direzione sembrano muoversi i rumors che vociferano di parnership con marchi del calibro di Ray-Ban e Tom Ford, così come l’annuncio recente di una collaborazione con il designer Warby Parker.
2) Il problema dell’”always on”
Le funzioni “bloccate”, saranno decisive per il successo della piattaforma, analogamente a quelle “abilitate”. Trovare il livello perfetto di intrusività in un contesto di connessione perenne, rappresenta forse la più grossa sfida dell’interazione uomo-macchina che l’industria dell’elettronica si trova ad affrontare.
3) Individuare delle killer-apps
Apparentemente i glass non offrono nulla di più in termini di funzionalità rispetto a ciò che che gli attuali smarphone consentono di fare. Di conseguenza, ci si torna a chiedere: “Perché trasformarli in occhiali? La risposta potrebbe risiedere nell’individuazione di killer-apps che ne giustifichino in tal senso una vera e propria adozione di massa.
4) Attenuare il problema dei “troppi feedback”
La fase in cui project glass si trova ora è quella di “raccolta feedback” nel bacino di community coinvolte nel processo di co-creazione del prodotto. BigG ha messo a disposizione la tecnologia, dal brevetto che consente il controllo di oggetti tramite comando vocale o i sensori Bluetooth e QR Code, lasciando ai singoli sviluppatori e marchi il compito di sfruttarla per realizzare prodotti appetibili e in grado di creare un’alternativa utile allo smartphone, o almeno, una soluzione in grado di dialogarci alla perfezione. Se il crowdsourcing può portare alla realizzazione di grandi prodotti, e nel caso specifico certamente contribuirà al fine tuning del project glass, è anche vero che il compito può divenire assai arduo quando si tratta di creare qualcosa che non è prima stato concettualizzato.
A perimetrare il terreno di gioco, ci pensa Google, che ha tracciato un set di 4 guidelines da tenere a mente nel processo di sviluppo delle apps per i suoi smartglass:
1) Progettare per Glass
Glass è una piattaforma mobile ma sostanzialmente diversa da qualsiasi piattaforma mobile esistente. Dunque, le applicazioni vanno sviluppate specificamente per Glass, pensando ad una user experience che risulti appropriata per tale device, e su di esso opportunamente testata.
2) Non essere d’intralcio
I glass user si aspettano che la tecnologia sia lì per loro all’occorrenza. In tal senso, le apps devono prevedere notifiche non troppo frequenti o invasive. I controlli dell’informazione occorre siano funzionali a garantire un’experience ottimale.
3) Essere tempestivi
Glass è una piattaforma che si rivela particolarmente efficace quando calata nel contesto del presente e dell’aggiornamento. Il sistema di notifiche real time fornisce dati aggiornati, include funzionalità di delete e storico azioni. Laddove le apps rispondono alle azioni degli utenti su Glass o riflettono dati da Glass, devono farlo in modo tempestivo e atteso.
4) Evitare l’inaspettato
Spiazzare ‘utente con funzionalità inattesa è un difetto per qualsiasi piattaforma, ma in particolar modo lo è per Glass, per via della sua stessa natura così profondamente calata ed immersa nell’esperienza quotidiana. Bisogna essere chiari e trasparenti circa le finalità che un’app, definire cosa fa in nome dell’utente e richiederne un esplicito consenso a farlo.
Definite best practise e scenari attesi, le risposte da parte dei developpers non tardano certo ad arrivare.
il New York Times, in occasione del South by South West Festival, ha fornito alcune anticipazioni sull’app che sta sviluppando. Sfruttando il comando vocale, il lettore manifesterà gli arogmenti di proprio interesse e il dispositivo gli restituirà una selezione di notizie. Una pressione sul pulsante esterno del glass darà modo di ascoltare l’articolo per esteso grazie al sistema audio di conduzione ossea. Il tutto integrato con un sistema di alert per le breaking news.
Sul versante social, Twitter, come ha svelato l’investitore della Kleiner Perkins Caufield & Byers John Doerr, sta preparando un’applicazione pensata in maniera specifica per garantire un’ottima esperienza utente con i Glass. Inviare tweet, aggiungere follower e visualizzare i trend topics, il tutto a portata di retina.
Path, rivela un’app che avvisa con una notifica visiva sulle lenti dell’inserimento di una nuova foto e dà la possibilità di reagire con un’emoticon senza l’ausilio dello smartphone. Con Evernote Skitch sarà invece possibile condividere le foto scattate con le lenti stesse.
Rimanendo in casa, Big G svela di aver lavorato a una versione ad hoc di Gmail che prevede alert in caso di email importanti, anticipandone oggetto e mittente. Inoltre, su Google Play è già disponibile l’app MyGlass che mette in connessione smartphone e occhiali ponendo il focus su service come Sms e Gps.
Dalle azioni più comuni come scattare foto, registrare video, fare video-call, gestire mail, visualizzare mappe e percorsi, a quelle che sconfinano nella domotica – Google ha già depositato un brevetto che descrive una tecnologia in grado di controllare oggetti reali tramite un display virtuale -, la lista dei possibili scenari di utilizzo degli smart-glasses a realtà aumentata si prefigura corposa. Dall’ e-learning, al settore dei trasporti, dal gaming all’health, dal travell al food&beverage, il tutto nell’ottica di un’interazione semplificata, polisensoriale e meno “distratta”.
Al contempo, la questione critica e delicata dell’impatto che gli occhiali ”intelligenti” – percepiti dal mondo dell’high tech come la “next big thing” – avrà sulla privacy, si ripropone con forza.
Quelle che un tempo apparivano profezie visionarie, utopiche o distopiche – a seconda dei punti di vista – oggi sembrano tramutarsi in realtà sempre più vicine, concrete e tangibili.
Il dibattito attorno alla privacy violata, sollevato dal blogger Mark Hurst, prosegue con le osservazioni sul The Guardian e le assertazioni allarmistiche del movimento Stop the Cyborg, che allarma sugli inquieti futuribili scenari di un mondo orwelliano plurimo e frammentato abitato da androidi intenti a spiarsi e monitorarsi a vicenda.
Calandosi in un contesto sci-fi, l’accostamento desgli smart glasses del colosso di Mountain view, ai sun glasses del cult movie del 1989 di John Carpenter, “Essi vivono“, viene spontaneo. Tuttavia se nel film di Carpenter, gli occhiali indossati consentivano di “svelare” una realtà fatta di messaggi subliminali veicolati da prodotti di uso quotidiano, insegne e cartelloni pubblicitari, qui parrebbe verificarsi l’esatto contrario. D’altronde, l’introduzione di forme di adv che sfruttino a pieno le potenzialità del nuovo dispositivo, sembra un’ipotesi iplausibile per un brand il cui core business, in fin dei conti, risiede nell’advertising.
Come già accaduto per tante altre innovazioni tecnologiche/strumenti di libertà/forme di controllo, a seconda dei punti di (s)vista, l’ingresso del nuovo smart device nel mass-market, probabile che sia ancora una volta solo questione di tempo. Il tempo di abituarsi.
“So, Ok Glass, what’s next?”