Diffamati sul web? SOS “Reputation Defender”
Già da diversi anni, gli internauti vittime di azioni tese a violare la loro privacy e a screditare la propria immagine su internet, possono rivolgersi a società specializzate nella fornitura di un servizio di “pulitura on line” che mira a salvaguardare la propria reputazione virtuale. Le due agenzie londinesi Tiger Two e Distilled e la californiana Reputation Defender, sembrano rispondere efficacemente, alla richiesta sempre crescente, di chi ha subito atti diffamatori e vuole, dunque, ripristinare un’immagine pubblica positiva.
Digitando il proprio nome su Google, il timore che il motore di ricerca restitutisca link a contenuti testuali, audio o video ritenuti in qualche misura compromettenti per la nostra reputazione virtuale è tutt’altro che infondato. Sempre più spesso accade di imbattersi in siti, blog forum e social network in cui prolifera la cosiddetta “character assassination“: il dibattito aperto assume i toni di un reciproco scambio di insulti, la libera manifestazione del pensiero si traduce nel lancio di affermazioni diffamanti e provocazioni, talvolta gratuite, che tendono a ledere la propria immagine pubblica. Si va dalla pubblicazione di foto e video compromettenti, sino ad arrivare a casi ben più gravi di chi ha addirittura scoperto il proprio necrologio on line arricchito di accuse infondate.
La tendenza verso un progressivo assottigliamentto della linea di demarcazione tra identità reale e virtuale non può far altro che accentuare l’estrema significatività del fenomeno. A titolo esemplificativo di quanto detto, basti pensare al fatto che in America, una percentuale rilevante di persone che ha cercato lavoro via internet, ha visto respinta la propria domanda o ha corso tale rischio, per il fatto di non avere una buona “reputazione virtuale”.
Va precisato che in ambito giuridico, non esistono ancora strumenti ben definiti da poter utilizzare qualora si ritenga che azioni diffamatorie abbiano compromesso la nostra nomea sul web. In teoria, chi pubblica notizie denigratorie può essere penalmente perseguibile, ma in pratica, la difficoltà di individuare il vero responsabile, data la natura stessa della comunicazione in rete, globale e con ritmi di crescita esponenziali, determina l’inattuabilità del principio.
Alla luce di tali considerazioni, si può ben comprendere il successo di queste “società pulitrici“, come la già citata Reputation Defender, nata quasi per gioco due anni fa ad opera del suo fondatore Michael Fertik e che oggi si trova a far fronte, con uno staff di oltre sessanta dipendenti, a una domanda sempre crescente del servizio da parte di chi intende “smacchiare” la propria immagine virtuale.
Il servizio ha ovviamente un costo: pagando circa 15 $ al mese si può usufruire della formula base di questa “google insurance“, come l’ha definita lo stesso Fertik, che consente una una vera e propria rimozione dal web di contenuti diffamatori. Nel caso di aziende o persone celebri, il costo sale e può arrivare a toccare svariate migliaia di dollari. In queste circostanze, difatti, è necessaria un’operazione di riordinamento delle SERP (search engine resultation page) finalizzata a far si che ai primi posti dei risultati forniti dai motori di ricerca ci siano link a siti “friendly”, che parlino bene di sè, relegando a posizioni confinanti tutti i contenuti ritenuti dannosi per la propria reputazione.
Un esempio, in tal senso, è quello dell’attrice Kate Moss, che pare abbia fatto ricorso all’azione dei “reputation cleaners”, per ripulire la sua immagine profondamente sporcata a seguito degli eventi che la videro protagonista di vicende legate allo scandalo droga nel 2005.
A riproporsi è, dunque, ancora una volta la delicata ed annosa questione dicotomica “tutela della privacy\libertà di manifestazione del pensiero e stampa libera“. Lo sbilanciamento verso l’una o l’altra direzione è determinato dagli interessi delle parti coinvolte. Il raggiungimento di un punto d’equilibrio, inutile dirlo, non è cosa facile.
marzo 25th, 2013 at 23:43
Thank you!